giovedì 26 agosto 2010

Lo "stile" di WALTER....


Ieri Walter (Uòlter) Veltroni ha scritto una lettera agli Italiani “Scrivo al mio Paese e vi dico che cosa farei”. E, per risparmiare sull’affrancatura, l’ha mandata al Corriere 

«Il genere epistolare non deve stupire: tutti i migliori comici, da Totò a Peppino, da Benigni a Troisi, ne han fatto largo uso. Totò, salendo sul wagon lit, chiamava a raccolta “fuochisti, macchinisti, ferrovieri, frenatori, uomini di fatica”. Uòlter, scendendo dall’Ufo, si rivolge “agli italiani che tornano a casa”, ma anche “a quelli che non si sono mossi”; a quelli che non si sono mossi “perché lavoravano”, ma anche a quelli che non si sono mossi “perché non possono lavorare”; “agli imprenditori”, ma anche “ai nuovi poveri italiani” (a quelli vecchi no). » [mtravaglio].

Beh... 12000 caratteri (dico 12000!).....  per prospettare dunque il ritorno dei SOLITI NOTI nel PD(menoelle).

....LUI, si immagina modestamente nei panni del grande statista che scrive al proprio paese e consegna agli italiani, ovviamente quelli  che leggono il Corriere e capaci di arrivare in fondo alle 12000 battute del testo, un messaggio forte e chiaro: che gli attuali reggenti del centro sinistra sono quello che sono..... ma che quello che c’era prima di loro era (ed è) se possibile ancora più vacuo ed inconcludente.

Matteo Bordone la commenta in maniera superba così:
"........
[pausa]
Leggetevela, se vi va.
[pausa]
L’avete letta? Bella, no? Voglio dire che mi sembra un bel gesto, il martedì del rientro dalle vancanze. Io sono stato a Milano, però insomma, per dire.
[pausa lunga]
Quando Veltroni compare sulla stampa nazionale, i miei quindici affezionati lettori si aspettano da me qualcosa, un commento, una sintesi, degli improperi. Se lo aspettano perché ormai è un piccolo classico di questo posto. E io ogni volta sparo le mie cartucce migliori, mi dilungo in esegesi che grondano sangue, mi esercito nell’arte dell’incazzatura creativa, della frustrazione lirica, del sarcasmo affilato. Anche questa volta, quindi, immagino che qualcuno sia venuto a cercare il mio intervento puntuale. Il solito, per parlare onestamente, piccolo esercizio di stile e retorica. Poca cosa, insomma. Mi sono chiesto se fosse ancora il caso; se non fosse più signorile rispondere con un elegantissimo silenzio, carico di superiorità e cose più serie da fare.
Me lo sono chiesto davvero.
Mi sono anche dato una risposta.
Volete sapere qual è?
La risposta suona più o meno così: «Silenzio un cazzo, porca di quella puttana troia schifosa».
Lo stile di Walter ormai ci è noiosamente familiare, come certe laringiti di stagione. Eppure ogni volta il celebre scrittore riesce a stupirci per la capacità di usare tutte le parole giuste per farci ribollire più forte il sangue, per l’acume capovolto di chi non ne dice una giusta. Qua e là, certo, ci sono dei concetti che possiamo anche condividere. Ma prima di arrivarci bisogna sfrondare, con il più grosso e affilato machete mai prodotto nelle profondità della selva amazzonica, una serie di cretinate così infestante che poi quello che resta è poco. È il vicino di bancone al bar che dice «Certo che dei politici normali potremmo averli anche noi, no?». E allora tu mormori «Eh», bevendo il latte macchiato, e la cosa finisce lì. Nessuno cala dei jolly, nessuno la mette giù dura: piccola condivisione elementare, minuscolo momento di fratellanza prêt-à-porter, sorriso, fine della questione.
Lui no.
Partiamo dalla lettera al direttore del quotidiano: una formula talmente fogliadifico che fa innervosire a priori. Vuoi scrivere una lettera a un direttore? Cerca un quotidiano col direttore, per prima cosa. E già non ci siamo. Dopo di che tu gli scrivi e lui la legge. Vuoi pubblicare un pezzo? E fattelo pubblicare. Non va bene. Cosa vuoi fare, piccolo? Vuoi scrivere agli italiani? Abbi il coraggio di partire con «Cari italiani». Non ce l’hai? È troppo anche per te? Ah, è per quello che per quindici righe descrivi una platea di disperati senza futuro: perché speri che siano talmente indeboliti dagli strascichi della campagna di Russia da non rovesciarti il latte macchiato in testa.
Se citassi e commentassi tutto, scriverei venti pagine, quindi mi limito a un florilegio.
In un articolo che descrive una situazione politica asfittica, un paese immobile, una totale assenza di slancio, Walter decide di connotare l’età contemporanea con le parole «questo tempo leggero e bulimico». Ma che strano: è il contrario di quello che ripete per tutto il pezzo. Si vede che gli suonava poetico. Si sente un po’ Calvino che spiega la leggerezza agli americani. Lo facesse davvero, gli arriverebbe in testa la lava di Starbucks. Non sarebbe una bella cosa. Meglio rompere il cazzo qui per lettera, a distanza di sicurezza.
«… quasi quattordici milioni di italiani fecero una croce sul simbolo che conteneva il mio nome come candidato alla presidenza del Consiglio. Se un milione e mezzo dei 38 milioni di votanti avesse scelto il centrosinistra riformista invece di Berlusconi ora saremmo noi a guidare il Paese.» Quella del nonno che piscia benzina e ha un distributore non te l’hanno mai raccontata, no? Ecco. Ah, poi volevo dire anche 2753. Vedo che i numeri a vanvera fanno faville.
«Ma non è successo, per tanti motivi. Come cercherò altrove di approfondire, credo più per ragioni profonde e storiche che per limiti di quella campagna elettorale che si concluse con il risultato elettorale più importante della storia del riformismo italiano.» Mai mi sarei aspettato che tu attribuissi la responsabilità a ragioni di ordine generale e macroscopico. Mi aspettavo che avessi scoperto che c’erano stati degli errori nella strategia politica del partito che dirigevi. Peccato, cazzo. Va be’, la prossima volta, dai. Resta il fatto che le Elezioni per il Raggiungimento di Grandi Risultati per il Riformismo non sono previste dalla Costituzione Italiana. Ci sono quelle per eleggere i rappresentanti dei due rami del parlamento. Noi pensavamo di partecipare a quelle. Certe cose si dicono.
«Sono stato tra i pochi che si sono fatti da parte davvero (caricandomi responsabilità certo non solo mie).» Caricarsi responsabilità certo non solo proprie fa parte del passare dalle elementari alle medie: tu sei più grande, Walter, e se tuo fratello si sbuccia ancora le ginocchia poi vedi. Sul dichiarare di essersi fatto da parte davvero, vorrei ricordarti di non fidarti mai dei Cretesi, perché raccontano solo bugie. Io lo so bene: sono di Creta.
«Non ho chiesto alcun incarico, non ho fatto polemiche, non ho alimentato veleni.» [Si infila una matita nella coscia, sperando di svegliarsi da un incubo in cui Chewbacca reclamizza creme depilatorie.]
«Ho semmai taciuto e ingoiato fiele, anche di fronte a varie vigliaccherie.» [Non funziona. L’incubo continua. In televisione mandano uno spot contro il fumo. Il testimonial è Pannella.]
«E, tutto, senza una parola di autocritica. Chi ha vinto le elezioni e ne provoca altre neanche a metà delle legislatura vorrà almeno dichiarare il proprio fallimento politico?» Cosa obbligatoria se duri mezza legislatura. Se duri niente, nada, niet, nixon, nisba, allora no. Se perdi puoi ripetere ogni due mesi quanto la tua sconfitta fosse carica di un sottotesto pulsante di vittoria. Sarà anche così, ma sono regole strane, a dirla tutta.
«Un Paese che smarrisce il suo senso di comunità, la sua anima solidale, la sua coscienza unitaria finisce con lo sfarinarsi violentemente.» E qui Walter mette il dito dritto nella piaga. Di cosa ha paura l’italiano, il cittadino europeo che più di tutti vive un senso di comunità, di condivisione solidale, di vocazione colletiva che viene prima dello stato, parte dalle piazze, dai pianerottoli, dai vicini di casa che sempre, invariabilmente, senza eccezione alcuna, se un affamato bussa alla porta questuando, sono pronti a privarsi col sorriso di un cazzo di comunitario e democraticissimo piatto di grano? Di cosa ha paura? Dello sfarinamento: quella cosa di cui sono fatti gli incubi degli innocenti. «Mamma, stanotte ho sognato l’uomo nero.» «Oh, povero piccolo, e cosa ti ha fatto?» «Mi ha portato via da te, mi ha legato in una stanza buia, mi ha picchiato a sangue e poi mi ha violentato. Ma quello è il meno. Il brutto è quando mi ha tutto sfarinato.»
«Questo è il rischio che corriamo, l’alternativa tra una monarchia livida e una pura difesa dell’esistente.» Che io ho studiato poca filosofia politica, ma ho idea che siamo davanti a una nuova dottrina affascinante: le forme di governo Pantone. Come sarà l’oligarchia indaco cangiante, per dire?
«L’alleanza di centrodestra sembra immersa nello scenario dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.» Vai Walter, che questo ce l’hanno presente tutti i tuoi elettori. Almeno quelli coi capelli blu.
«Rimando per una analisi più compiuta al volume di John Kampfner Libertà in vendita o al bellissimo lavoro di Alessandro Colombo La disunità del mondo Ma scusa, puttana di quella Eva, io sono qui a casa mia che leggo il giornale. È agosto. Scopro che mi scrivi. Leggo per cortesia. Mi dai del pezzente morto di fame senza una lira, poi dici che è stata un’estate di merda, inanelli una serie ragguardevole di minchiate roboanti, e io devo leggere un volume e un lavoro?! Ma ti rimando io, ti rimando.
«Dunque l’unica strada che i veri democratici devono percorrere è quella di una repubblica forte e decidente.» Decidente. No, ma vai avanti, vai. Ti aiuto, così facciamo prima: la giugulare è alla base del collo.
«Un Paese che non ha una università tra le prime cento del mondo (dopo averle inventate)…» Pappappero pappappero ciccalaminera gnè gnè gnè.
«… che ha una metà, meravigliosa, di sé sotto il condizionamento di poteri criminali, che ha evasione altissima e altissima pressione fiscale, che ha una amministrazione barocca e il primato dei condoni, che scarta come un cavallo l’ostacolo ogni volta che deve sfidare sondaggi e corporazioni.» Cioè non sei in grado di dire che il Sud è in una condizione di merda, che quella cosa fa schifo, che la bellezza non basta. Sono anni che fai politica e non hai ancora capito che le parole della vedova dell’agente di Borsellino hanno il tono giusto per queste cose, che sono quelle, terribili, quelle giuste; non quelle di chi ripete sempre che Napoli è la città più bella del mondo, come se la Camorra fosse una tenda brutta in una casa splendida. No. Non ce la fai. È una merda, ma anche una meraviglia. E le tasse non le paga nessuno, ma sono anche alte. E l’amministrazione è barocca. E soprattutto il cavallo, quel cazzo di cavallo, che nella tua similitudine scarta per definizione l’ostacolo. Giusto. Infatti il salto a ostacoli lo fanno in groppa ai cocker.
«Non per mettere la pietra al collo al bipolarismo e riportare l’orologio ai giorni in cui pochi leader decidevano vita e morte dei governi, quasi sessanta in cinquanta anni, come l’andamento del debito pubblico testimonia in modo agghiacciante.» Debito pubblico che negli anni Sessanta, coi governi annuali e i morti in piazza, non esisteva. Debito pubblico che per circa 500MD€ è responsabilità dei governi Berlusconi. Ma certo, questo sarebbe un dato politico, quindi lasciamolo perdere. Identifichiamo un legame univoco tra lunghezza dei governi e solidità economica, parliamo un po’ di roba che gli italiani a cui scriviamo conoscono bene. Tipo Parri, per esempio. Parliamo di Parri, dai. Parri. Senti che bella parola. Parri. Bella rotonda, con la erre che accompagna per mano la bocca a chiudersi, dopo la A, fino alla discrezione minuscola della I.  Parri. Parrri. Parrrrri. Senti come gira bene, come un aereoplanino che cabra, smitragliando i civili. Parrrrrrrrrrrrrrrrrrrri.  L’hanno colpito con la contraerea! Sta per schiantarsi a terra. Paaaaaaaaaaaaaaaarri. BOOOOOM! [Sembra preso da un’euforia segreta.]
Anche perché quei partiti avevano storie grandi che affondavano nel Risorgimento o nelle lotte bracciantili e quei leader avevano fatto, insieme, la Resistenza o la Ricostruzione. [Cade a terra. Ripete «Le. Lotte. Bracciantili. Le. Lotte. Bracciantili. Le. Lotte. Bracciantili». Poi si ferma. Sembra morto. Si riprende dopo qualche minuto di immobilità totale. Sembra sereno, determinato.]
«… riformare la legge elettorale dando forma, per esempio attraverso i collegi uninominali e le primarie per legge, a un moderno e maturo bipolarismo» Ah, le primarie per legge, questa è nuova. Lo stato decide i regolamenti interni dei partiti politici. Proprio come in America, Wally. Proprio quello che ci vuole. Vai così.
«Chiunque alzi gli occhi nella Cappella Palatina di Palermo o nella galleria di Diana di Venaria Reale non può non sentire tutto intero l’orgoglio di essere figlio di questo Paese e della sua straordinaria e travagliata storia.» Eh sì. Certo. È lì che si vede. Brao ciccio. Bel finalone. Perché l’Italia è messa come è messa? Eh, sono quelli lì che sono cattivi, fanno le truffe male. Perché la gente invece è buona. Quelli lì li convincono che il male paghi, come Palpatine, e loro si affidano al lato oscuro della Forza. Cacchiarola, sono problemi. E perché è il caso di essere orgogliosi del paese? Due cose: la Cappella Palatina di Palermo e  la galleria Diana di Venaria. Certo. Bello che il paese dia il massimo in Sindrome conclamata di Stendhal. Ma ancora più bello è vedere che, anche quando si cala una carta così mollemente retorica, non si sia in grado di citare qualcosa che la gente conosce, tipo, che ne so, quella sciocchezza di Leonardo Da Vinci. No, che c’è pieno di stranieri in Toscana. Nel paese più imballato di musei, chiese, opere d’arte, facciamo un po’ anche le veci del FAI e del Touring. Vuoi non approfittare per far conoscere agli italiani dei luoghi che, benché in questa estate di merda siano senza una lira, afflitti, morti e marci, dovrebbero visitare anzichenò?
«Lo stesso orgoglio che si prova pensando agli italiani che lavorano per la nazione, imprenditori od operai, insegnanti o poliziotti. Per questo il nostro Paese merita di più. Merita di più dei dossier e dei veleni. Di più della politica ridotta a interesse di un leader. Di più delle alleanze con il diavolo. Il nostro Paese deve smettere di vivere dominato solo da passioni tristi. È difficile. È possibile.» Sì sì, con le lotte bracciantili, i volumi e i lavori, le primarie per legge, le sconfitte straordinarie, i ditini alzati, Parri, gli sfarinamenti e le cappelle palermitane è proprio molto difficile. È difficile perché non solo bisogna levarsi di torno i pirati, ma tocca anche sprecare il latte freddo macchiato della mattina, che senza non riesco proprio a fare niente, per non lasciare che certe stupidaggini dilaghino. Fatto questo, ne convengo, è insieme difficile e possibile. Come un po’ tutto nella vita, no?

Nessun commento:

Posta un commento